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Hermaphrodites with attitude

Per gentile concessione di Beatrice Busi riproponiamo questo suo saggio pubblicato per la prima volta su DeriveApprodi, n. 25, 67-70, nel 2005.

Winnipeg, 27 aprile 1966.

Bruce Reimer ha 8 mesi quando durante un routinario intervento di circoncisione un medico commette un errore irreparabile: usando un elettrocauterio anziché un bisturi per incidere il prepuzio, lo evira completamente. In quegli anni un intervento di ricostruzione del pene non era in grado di restituire funzionalità all’organo: avrebbe potuto fornire solo “un condotto dal quale urinare”, niente di più. La famiglia Reimer cade nella depressione fino a quando, sette mesi dopo, in una sera di dicembre, assiste ad un talk-show televisivo al quale partecipa il carismatico Dott. John Money: il pioniere degli studi sull’identità sessuale e della riattribuzione chirurgica del genere in casi di transessualismo, spiega la sua teoria sulla neutralità psicosessuale dei neonati e racconta le meraviglie dei progressi chirurgici. La madre scrive subito a Money che risponde invitando tutta la famiglia Reimer a recarsi al più presto alla Gender Identity Clinic del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, della quale è direttore. Già durante il primo incontro, lo psicologo spiega subito qual è la sua idea: l’unico modo per sperare in uno sviluppo “normale” di Bruce è trasformarlo in femmina. Per Money è l’experimentum crucis per dimostrare che la “cultura” conta più della “natura” nello sviluppo psicosessuale dell’identità di genere: un’occasione irripetibile che non vuole lasciarsi sfuggire anche perché Bruce ha un fratello gemello omozigote. Dopo un lungo periodo di riflessione, il 3 luglio 1967, i genitori acconsentono alla proposta di Money: a 22 mesi Bruce viene trasformato in Brenda, la vita di tutta la famiglia Reimer in un laboratorio e i medici raccomandano di mantenere il segreto sull’operazione, soprattutto con Brenda.
Il suo caso diventerà un grande “classico” degli annali della medicina contemporanea come “il caso dei due gemelli” e successivamente “il caso John/Joan”.
Ma è fuori dalle pagine delle riviste scientifiche che la vita di Bruce/Brenda farà il suo corso. A 8 anni Brenda comincia a ribellarsi ai viaggi a Baltimora per le visite annuali che diventeranno sempre più difficoltose fino a quando non verranno interrotte nel 1979. Il 14 marzo 1980 il padre la porta a prendere un gelato e le racconta la verità. Brenda decide di rifiutare definitivamente l’identità femminile nella quale si era sempre sentita a disagio e dopo una mastectomia ed una terapia ormonale a base di testosterone, tra i 15 e i 16 anni si sottopone ad interventi di ricostruzione del pene: Brenda diventa David. A 25 anni si sposa ed adotta tre bambini, ma la sua vita rimarrà inquieta.
David Reimer si è suicidato il 4 maggio 2004.

La medicina può riflettere i comuni pregiudizi sociali o può aiutare la società a sviluppare la tolleranza e il riconoscimento della diversità umana. Noi sottoscriviamo la seconda. (1)

Il 18 febbraio scorso l’Associated Press, subito ripresa da un centinaio di organi di informazione statunitensi tra i quali il New York Times, la Cnn e la NBC, lancia una notizia che raddoppia i contatti al sito dell’Intersex Society of North America (Isna)2. L’agenzia anticipa i contenuti di un simposio dal titolo “Defining Male and Female: Biology and law” che si svolgerà il giorno seguente durante il meeting annuale della prestigiosa American Association for Advancement of Science. Ironia della sorte, fu proprio in un’occasione simile che nel 1972 John Money pubblicizzò per la prima volta come un successo il famoso caso dei “due gemelli”. Nel 2005, al contrario, i relatori denunciano l’atteggiamento riduzionistico nei confronti dell’identità sessuale e di genere comune sia alle leggi della scienza che a quelle degli stati e che nei casi di intersessualità si concretizza in una sistematica limitazione e violazione dei diritti civili.

Eric Vilain, professore di Genetica Umana dell’Università della California di Los Angeles, sostiene vivacemente che i recenti progressi della ricerca genetica sullo sviluppo sessuale dimostrano quanto sia complessa una definizione di mascolinità e femminilità da un punto di vista biologico, o meglio, che non esistono parametri biologici in grado di determinare il sesso in modo assoluto e definitivo. Con ironia, William Reiner dell’Oklahoma University Health Science Center aggiunge che se vogliamo sapere chi o cosa sia veramente un bambino l’unico modo è domandarlo al diretto interessato.

Le conclusioni sono nette: il protocollo medico dominante, che sin dagli anni ’50 del Novecento prescrive l’assegnazione del genere entro il secondo anno di età e il conseguente trattamento chirurgico e farmacologico di adeguamento, non è fondato su una “realtà biologica” e va riformato al più presto.

Certamente, c’è invece un’ingombrante “realtà sociale” che sorveglia costantemente i confini della differenza sessuale armata di bisturi.

Secondo i dati diffusi dall’Isna circa una 1 persona su 1500 nasce con un genere non definibile attraverso le categorie standardizzate di maschio o femmina.

1. Frader, J. et al., “Health Care Professionals and Intersex Conditions”, Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, May 1, 2004; 158(5): 428. Tutte le traduzione dall’inglese sono dell’a.

Qui_il testo completo: Busi – Hermaphrodites with_attitude

Beatrice Busi è assegnista presso l’Università di Verona e fa parte del Centro di ricerca Politesse – Politiche e Teorie della sessualità. Dottoressa di ricerca in Filosofia della scienza, è stata borsista della Fondazione Ruberti con un progetto di ricerca sulla funzione di modelli e metafore nel pensiero biologico contemporaneo, occupandosi in particolare delle teorie su determinazione e differenziazione sessuale. Nell’ambito dei suoi studi sugli stereotipi di genere nella ricerca scientifica, si è occupata inoltre della storia dei protocolli medici nei casi di intersessualità e delle loro implicazioni etiche.

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