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I Principi di Yogyakarta 8 anni dopo

I Principi di Yogyakarta 8 anni dopo: dove siamo arrivati e dove stiamo andando.

di Giulia Dondoli per Intersexioni, 14 gennaio 2015

Il 20 novembre 2014 Michael O’Flaherty ha presentato un intervento sui diritti delle persone LGBTI all’Università Monash, in Melbourne (Australia).1 Per gli attivisti e accademici che si occupano di problematiche relative all’omosessualità e all’identità di genere, la persona di Michael O’Flaherty non ha bisogno di presentazioni: egli infatti ha presieduto il gruppo di esperti che nel 2006 stese i Principi di Yogyakarta. Composto da 29 principi e 16 raccomandazione aggiuntive, il documento, pur non essendo direttamente vincolante per gli stati, ha avuto l’obbiettivo e il merito di riassumere e raggruppare il diritto internazionale sui diritti umani delle persone LGBTI. Al di fuori della sfera dei diritti delle minoranze sessuali,2 numerosi sono gli incarichi che il Professor O’Flaherty ha ricoperto alle Nazioni Unite e in Irlanda (suo paese d’origine) nel campo dei diritti umani. Infine, O’Flaherty è attualmente direttore dell’Irish Centre for Human Rights at the National University of Ireland, Galway.

Durante il suo intervento, O’Flaherty ha presentato un interessante e stimolante punto di vista sullo stato dei diritti delle minoranze sessuali. Vista la gran quantitá di incarichi da lui ricoperta, puó presentare il punto di vista di una persona che è allo stesso tempo un accademico; ex-funzionario intergovernativo per le Nazioni Unite; ex-funzionario governativo per l’Irlanda; e, considerando i Principi di Yogykarta una iniziativa nongovernativa, anche un attivista per i diritti LGBTI. Nel corso di questo scritto analizzerò alcuni aspetti della sua presentazione.

Micheal O’Flaherty inizia il suo discorso con una introduzione alle tematiche delle minoranze sessuali: i problemi che incontrano nella vita di tutti i giorni, sia nei paesi dove l’omosessualità è un reato, sia in quei paesi cosidetti occidentali. O’Flaherty sottolinea anche come la mancanza di una esplicita proibizione della discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere all’interno dei maggiori trattati sui diritti umani crei un ostacolo alla tutela dei diritti umani delle persone appartenenti a minoranze sessuali. Infatti, molti delegati governativi si mostrano riluttanti a parlare di omosessualità, transgenderismo e intersessuallitá all’interno del foro delle Nazioni Unite, adducendo come scusante che questi temi non sono esplicitamente citati all’interno di alcun trattato internazionale.

Il relatore liquida queste scuse puerili spiegando come i diritti delle persone LGBTI non siano diritti speciali, ma diritti accordati a tutti gli esseri umani. Un esempio fra tutti è l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che afferma: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e dirittiâ€. Una frase che nella sua semplicità e chiarezza dice tutto quello che ci sarebbe da dire riguardo ai diritti delle minoranze sessuali.

Purtroppo, benché mi trovi d’accordo con l’opinione di O’Flaherty, condivisa peraltro dalla maggior parte del mondo accademico, ancora non tutti i paesi del mondo accettano che le minoranze sessuali abbiano diritto all’esistenza, all’espressione, alla felicità. Da questa negazione dei diritti nascono importanti iniziative intergovernative e nongovernative. La principale, anche se non la prima,3 è stata quella dei Principi di Yogyakarta sopra menzionati. L’intervento di O’Flaherty permette di scoprire alcuni interessantissimi retroscena dei tre giorni che preceddettero la stesura finale del documento.

O’Flaherty spiega che ci sono stati due principali motivi di tensione fra due gruppi. Da un lato vi erano esponenti dell’attivismo LGBTI con pluriennali esperienze sul campo;4 dall’altro vi erano gli esperti di diritti umani, per esempio accademici5 o ex-funzionari delle Nazioni Unite e giudici.6 Fra i due gruppi, gli attivisti si sono dimostrati piú “timidiâ€, esortando i redattori a mantenere un profilo basso e a non eccedere con le richieste. Questo perché gli attivisti avevano alle spalle anni di deludenti esperienze nell’advocacy nazionale e internazionale. Dall’altro lato, gli esperti di diritti umani si sono dimostrati più “sfrontati†nel chiedere quello i trattati internazionali dicono. Scopo principale del documento era quello di riassumere e raggruppare ciò che il diritto internazionale afferma. Facciamo un esempio: il diritto internazionale proibisce la discriminazione sulla base di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinine politica, nazionalità, proprietà, nascita o altri status.7 La discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e l’identità di genere è stata negli anni interpretata come facente parte della categoria “sesso†o “altri statusâ€. Bene, i Principi di Yogyakarta rendono esplicito questo divieto affermando nel Principio 2 che “ognuno ha diritto a godere di tutti i diritti umani senza discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e identità genereâ€.8 Il fatto che i redattori si siano imposti di attenersi alla legge vigente ha creato un secondo motivo di attrito. Alcuni firmatari avrebbero voluto interpretare in modo più inclusivo o estensivo la legge, altri invece preferivano posizioni più conservative. O’Flaherty fa un esempio durante il suo intervento: il documento non menziona in nessuna sua parte il matrimonio egualitario,9 e questa mancanza è un grande limite del documento. Egli sottolinea come questa scelta fosse stata fatta all’epoca perché i redattori non ritenevano che la comunità internazionale fosse pronta ad accettare un dibattito sui matrimoni egualitari. Nel 2006 solo 5 stati permettevano le unioni matrimoniali fra persone dello stesso sesso.10 In aggiunta, allora come oggi, non c’era alcuna norma internazionale che si esprimesse in favore dei matrimoni omosessuali, e c’era poca chiarezza sui diritti matrimoniali accordati alle persone transgender o intersex. Seppure è immaginabile che alcuni dei 29 esperti potesse aver preferito esprimere un supporto al matrimonio egualitario, sul tema delle unioni matrimoniali è prevalsa un’opinione più conservatrice. Bene, nel 2014, a 8 anni di distanza dall’emissione dei Principi di Yogyakarta, il presidente del gruppo che redasse i Principi, esprime rammarico per questa mancanza e ammette che sui matrimoni egualitari i firmatari avrebbero potuto prendere un’iniziativa più riformatrice.

Sempre sui Principi di Yogyakarta, O’Flaherty dà uno sguardo retrospettivo a quello che il gruppo di esperti si era proposto di raggiungere e quello che effettivamente è stato raggiunto. Il professore ritiene che i risultati ottenuti siano stati addirittura maggiori delle aspettative. Primo, i Principi di Yogyakarta hanno dato una definizione di orientamento sessuale e identità di genere diventati poi assiomatici per il diritto internazionale. Infatti, organi quali il Consiglio d’Europa, il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Economici Sociali e Culturali e il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si riferiscono oggi ai termini di orientamento sessuale e identità di genere con parole echeggianti i Principi di Yogyakarta. Posso solo immaginare la soddisfazione dei redattori dei Principi a questa inaspettata evoluzione. Da voler raggruppare i principi di diritto internazionale sulle tematiche LGBTI, sono arrivati a ispirare nuove fonti del diritto. Inoltre, Professor O’Flaherty orgogliosamente menziona diverse occasioni in cui i Principi di Yogyakarta sono stati adottati in tutto o in parte. I Paesi Bassi sono stati i primi a promuovere i Principi a livello nazionale, e successivamente molti altri paesi hanno seguito l’esempio olandese. Inoltre, i Principi sono stati menzionati largamente dalla High Court di Delhi nel 2009 in un caso riguardante la criminalizzazione dell’omosessualità in India; successivamente, sono serviti da ispirazione per una risoluzione del 2010 del Consiglio d’Europa.

Infine, O’Flaherty conclude dando uno sguardo al futuro e in particolare nomina, in ordine di rilevanza, gli attori chiave che secondo lui potranno portare avanti la causa delle minoranze sessuali nella scena internazionale. Primo è nominato l’Ufficio dell’Alto Commissarioto sui Diritti Umani delle Nazioni Unite. Questo perché l’Alto Commissario, Navy Pillay in carica dal 2008 al 2014, si era fatta leader di una vigorosa politica di promozione dei diritti delle minoranze sessuali all’interno delle Nazioni Unite. O’Flaherty sostiene che sia ora necessario vedere come e se il nuovo Alto Commissario, Principe Zeid in carica da settembre 2014, porterà avanti l’opera di Pillay. Secondo, vengono nominate le organizzazioni non-governative, poiché esse hanno il potere di svolgere un’importante azione di lobby, sia presso le organizzazioni internazionali e sovranazionali, sia presso i governi. Terzo, le commissioni nazionali per i diritti umani. Quarto, le aziende private che possono e devono impegnarsi nel rispettare i diritti umani, e quindi possono dare una scossa positiva alla tutela dei diritti delle persone LGBTI. Infine, O’Flaherty afferma che, contrariamente all’opinione di una parte della dottrina, sarebbe sconsigliabile un trattato internazionale sui diritti delle minoranze sessuali; questo perché, parafrasando le sue parole, se dei diplomatici mettessero le mani sui diritti delle persone LGBTI, il diritto farebbe dei passi indietro, non certo in avanti.

In aggiunta O’Flaherty risponde ad alcune domande, per esempio gli viene chiesto come la questione dell’intersessualità trovi posto nei Principi di Yogyakarta, non essendo una questione né riguardante l’orientamento sessuale né l’identità di genere. Egli risponde che potrebbe essere obiettato anche che non è opportuno parlare di orientamento sessuale congiuntamente all’identità di genere, perché tematiche distanti fra loro. Aggiunge inoltre che il diritto internazionale relativo a problematiche legate all’intersessualità ha avuto negli anni successivi alla stesura dei Principi una esponenziale evoluzione e per questo motivo tali tematiche, insieme a quelle legate al transgenderismo e al transessualismo, andrebbero riviste alla luce dei nuovi sviluppi.

Da questa analisi sembra che l’autore dell’intervento esprima considerazioni moderatamente ottimistiche sull’evoluzione dei diritti umani per le minoranze sessuali. Documenti come i Principi di Yogyakarta insieme alle numerosissime iniziative portate avanti dagli attori statali, internazionali e non-governativi dal 2006 in poi stanno plasmando il dibattitto internazionale sui diritti delle minoranze sessuali. In altre parole, molto ancora deve essere fatto, ma sembrerebbe di essere sulla buona strada.

Per concludere vorrei aggiungere all’analisi dell’intervento di O’Flaherty alcune considerazioni. È innegabile che, almeno in termini relativi, il dibattito internazionale sulla tutela dei diritti delle minoranze sessuali ha avuto un esponenziale sviluppo dal 2006 a oggi. Infatti anche se i numeri parlano chiaro – in 79 paesi del mondo l’omosessulità è ancora un crimine – si può notare una tendenza positiva a livello globale. Fra il 1948 (anno di emissione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) il 2006, il dibattito sulle minoranze sessuali si è limitato a una sola decisione della Commissione sui Diritti Umani: Toonen v. Australia. Dal 2006 a oggi le cose sono molto cambiate: nel 2011 c’è stata la prima risoluzione delle Nazioni Unite sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, seguita da un report sullo stesso tema. A questi documenti fanno seguito un meeting ministeriale nel 2012, una campagna di sensibilizzazione su internet lanciata nel 2013 e una seconda risoluzione nel 2014.11 In molti concordano che questa svolta sia stata portata avanti sotto la spinta dell’ex-Commissario Pillay, che ha personalmente preso a cuore la causa delle minoranze sessuali. Questo fatto potrebbe essere un problema. Infatti se queste iniziative sono state portate avanti grazie alla forte personalità e interesse dell’ex-Commissario Pillay, il nuovo Commissario, Principe Zeid, sarà in grado (vorrà) portare avanti la politica di chi l’ha preceduto? Solo con il tempo si potrà rispondere a questa domanda. Intanto si possono fare tre considerazioni. 1) Come sottolineato da O’Flaherty, il Commissario Zeid ha menzionato la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale al terzo paragrafo del suo discorso in occasione del suo investimento della nomina di Alto Commissario per i Diritti Umani.12 Un inizio tiepido, ma positivo. 2) L’ex-Commissario Pillay, alla fine dei suoi 6 anni di commissariato, aveva raggruppato intorno a sè un certo numero di sostenitori. Fra le personalità più eminenti il Segretario Generale della Nazioni Unite Ban Ki-moon che in diverse occasioni ha mostrato il suo supporto alla causa delle minoraze sessuali. Pertanto si auspica che, nonostante il cambio di commissario, i sostenitori raccolti negli anni continuino a supportare la causa. 3) Viene da chiedersi come mai l’ex-Commissario Pillay abbia preso a cuore la causa delle minoranze sessuali. Sicuramente varie ragioni hanno concorso, una di queste potrebbe essere che ci sia stata una pressione da parte delle organizzazioni non-governative sull’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani. Questa ultima considerazione è quella che fa più ben sperare, perché, Pillay o no, possiamo stare certi che le organizzazioni non-governative continueranno a fare pressioni sulle Nazioni Unite per far sentire la voce delle persone LGBTI.

1 Invito tutti i lettori a vedere il video della conferenza (Visitato l’ultima volta: 9 gennaio 2015).

2 Il termine minoranze sessuali è qui usato come termine collettivo per identificare le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer. Il termine è usato nel presente articolo perché è largamente usato da O’Flaherty stesso nel suo intervento.

3 I Principi di Yogyakarta sono stati preceduti dalla meno nota Dichiarazione di Montréal. (Visitato l’ultima volta: 9 gennaio 2015).

4 Maxim Anmeghichean, ILGA-Europe; Mauro Cabral for IGLHRC; Sonia Onufer Corrêa, Sexuality Policy Watch; Elizabeth Evatt, International Commission of Jurists; Asma Jahangir, Human Rights Commission of Pakistan; Maina Kiai and Lawrence Mute, Kenya National Commission on Human Rights; Sunil Pant, Blue Diamond Society; Dimitrina Petrova, Equal Rights Trust; Wan Yanhai, Beijing AIZHIXING Institute of Health Education; Nevena Vuckovic Sahovic, Child Rights Center; Roman Wieruszewski, Poznan Centre for Human Rights.

5 Per esempio: Judith Mesquita, University of Essex; Alice M. Miller, Columbia University; Stephen Whittle, Manchester Metropolitan University; Robert Wintemute, King’s College London.

6 Special Rapporteur delle Nazioni Unite: Philip Alston, Yakin Ertürk, Paul Hunt, Miloon Kothari, Vitit Muntarbhorn, Manfred Nowak, Rudi Mohammed Rizki, Martin Scheinin. Giudici: Edwin Cameron, Supreme Court of Appeal (South Africa); Sanji Mmasenono Monageng, Judge of the High Court (The Republic of the Gambia). È utile sottolineare che la divisione fra “esperti di diritti umani†e “attivisti†fatta nelle note da 4 a 6, non sia da considerare come fissa. Infatti, molti firmatari avevano multiple affiliazioni e perció possono essere considerati per esempio sia accademici sia attivisti. Per una lista completa dei firmatari del documento e delle loro affiliazioni, rivolgersi al documento originale a pp.34-35. Cliccare qui per consultare il documento (Visitato l’ultima volta: 9 gennaio 2015).

7 Vedi per esempio articolo 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

8 Mia traduzione.

9 O’Flaherty usa un’espressione inglese marriage equality che trova equivalente nell’idioma italiano: matrimonio egualitario. Tale espressione ha il vantaggio di includere tutte le possibilità di unioni che sfidano l’eteronormatività delle leggi matrimoniali, e quindi non solo matrimoni fra gay o fra lesbiche, ma anche matrimoni dove uno o entrambi i partner sono bisessuali, transgender, intersex o queer.

10 Paesi Bassi (2001), Belgio (2003), Spagna e Canada (2005), Sud Africa (2006).

11 Per maggiori informazioni su questi documenti visita la pagina delle Nazioni Unite (Visualizzato l’ultima volta: 12 Gennaio 2015).

12 Qui il discorso inaugurale del Commissario Zeid (in inglese) (Visualizzato l’ultima volta: 12 gennaio 2015).

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Giulia_DondoliGiulia Dondoli Il desiderio di scoprire il mondo mi ha sempre accompagnato, sin da quando ho vinto una borsa di studio Erasmus che mi ha permesso di frequentare un semestre presso la facoltà di Scienze Politiche della National University of Ireland, Galway. Così, dopo aver ottenuto il diploma di laurea magistrale in Studi Internazionali all’Università degli Studi di Siena, ho trascorso un periodo in Francia con un finanziamento del servizio civile francese, e poi a Londra, con una borsa di studio Leonardo da Vinci. Al termine di questo percorso di viaggio ho deciso di riprendere gli studi. Sono adesso studente PhD in Diritto Internazionale alla University of Waikato in Hamilton (Nuova Zelanda), con un finanziamento dell’università. Attualmente, la mia ricerca si focalizza sull’attivismo LGBTI. Ho recentemente pubblicato: “Transsexual Nongovernmental Organisations Supporting Transsexuals’ Marriage Rights†International Journal of Humanities and Social Science, Vol. 4 No. 12 (2014).

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