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Il compito d’inglese

bambini-disabilitĂ di Miriam Abu Eideh

M. frequenta l’istituto tecnico. ha scelto l’indirizzo informatico, lo ha scelto perchĂ© ama smodatamente i videogiochi, e sogna di inventarli, anche se non ne è obiettivamente in grado.
a casa non ha il computer, il computer di casa è appannaggio della cugina, che non glielo presta mai, ecco perchĂ© M. pretende di giocare al computer mentre è a scuola. l’aula di sostegno possiede un vecchio pc che si rompe ogni due settimane, la grafica fa schifo, e la tastiera pure, ma a lui va bene lo stesso. “fa schifo questo coso, ma va bene uguale” dice M. masticando la quarta barretta di cioccolato Milka e impiastricciando la tastiera di cioccolato.

io dovrei aiutarlo a imparare l’importantissima differenza tra le espressioni “to be going to” e “will”, la prof di inglese vuole assolutamente che M. sappia questa differenza, la sappia applicare, e pronunci le frasi in maniera decente. non gli servirĂ  mai a nulla nella vita, sapere che differenza c’è tra “to be going to” e “will”, e lui lo sa bene, per cui non lo vuole fare. M. sa a malapena leggere e scrivere in italiano, e l’idea di doversi misurare con un’altra lingua lo atterrisce ogni volta.

“dai, facciamo un po’ d’inglese?”.
“fallo te, io gioco ai giochini” dice M. facendo l’ennesima volta lo stesso round a Supermario, che quelli dopo non gli riescono.
“son due ore che fai lo stesso percorso a Supermario, almeno cambia, mi annoio”.
“sei una professoressa, sei pagata per annoiarti. zitta”.
io sbuffo. ma chi me l’ha fatto fare di insegnare?

“c’è il compito in classe d’inglese”.
“non me ne frega un cazzo del compito e dell’inglese, domani vengo con la pistola e uccido la professoressa”.
“lo sai che non puoi ammazzarla, non ce l’hai la pistola”.
“allora mi ammazzo io. mi impicco dalla finestra sopra l’aula, e penzolo, così alla profe le piglia un colpo” dice M., poi si mette le mani al collo e strabuzza gli occhi, per farmi vedere: ecco come sarò da impiccato.
“e come pensi di reggere la corda?”.
“me la reggi te. no, con quelle braccine tu reggi a malapena un foglio. vabbè, non m’ammazzo, però l’inglese non lo fo”.

io medito. devo fargli fare inglese. la mia collega mi sta rompendo i coglioni da due settimane, che vuole che M. faccia il compito, che c’è l’integrazione dei disabili, e insomma lui deve lavorare come tutti, e io non so dove sbattere la testa, perchĂ© questo ragazzo riottoso, che ingurgita sei tavolette di cioccolato al giorno mischiandole con i fonzies e l’aranciata, e diventerĂ  obeso ma non gliene importa nulla, dell’inglese se ne sbatte, ma la mia collega se ne sbatte ancora di piĂą, lei pretende che M. lavori, tanto poi con lui ci sto io. provo la carta dei divertimenti.

“se impari l’inglese, puoi capire le parole delle canzoni”.
“e chi se ne frega di capire le canzoni”.
“ma l’inglese è importante, ti serve per esprimerti, metti che conosci una ragazza inglese, come fai a parlarle?”.
lui mi guarda e sorride. “guarda che io lo so come parlare alle ragazze inglesi. gli dico ‘èi, Ă i lòv iu, iu ar biĂątiful, du iu uònt tu go tu de disco uiv mì?’, poi gli do un fiore”.

sono di malumore, e mi torna in mente che poco fa M. ha decretato che le mie braccine non reggerebbero nemmeno un foglio di carta, capirai una corda con lui appeso.
“senti un po’, hai detto ‘braccine’ a chi, prima?”
“a te”
“braccine un tubo. facciamo così: si fa a braccio di ferro. se vinco fai l’esercizio d’inglese, se perdo non lo fai”.
M. accetta ridendo. ci mettiamo in posizione, io da una parte, lui dall’altra, in mezzo un banco con intarsiato sopra ‘juve merda’. ci squadriamo.
“si fa al via”, dico.
“va bene”.
“via!”. inizio a fare forza sul braccio e sulla mano. sudo, sbuffo, ansimo, ma il braccio di M. non si muove di un millimetro. lui ridacchia e cantilena “bracciiino bracciiino”, mi lascia sforzare ancora un po’, dopodichĂ© in tre secondi piega il mio, di braccio, e vince.

stravolta mi volto dall’altra parte, massaggiandomi la spalla e la mano. mi sono fatta battere da un ragazzino di sedici anni. la mia credibilitĂ  di docente è segnata. non mi darĂ  piĂą retta, mai piĂą. mi disprezzerĂ . andrĂ  a dire in giro per tutta la scuola che la professoressa di sostegno è una pappamolla. non mi regalerĂ  piĂą gli scacchi di cioccolato che non gli vanno.
quando mi giro di nuovo verso M., lui ha due vocabolari in mano.
“tieni, io mi sono rotto di fare Supermario, faccio inglese, te mentre mi guardi fai sollevamento pesi, sennò qualunque scemo che ti sfida a braccio di ferro ti fa perdere”.
al compito abbiamo preso 6+.

About The Author

Miriam Abu Eideh

Miriam Abu Eideh, 43 anni, insegnante da quindici, collabora con due emittenti radiofoniche: Radiogas di Prato e Dot radio di Spello. Nel 2008 la casa Editrice Soleombra ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti: ''Né in cielo né in terra". In intersexioni si occupa di formazione e della pagina delle recensioni dei film, programmi tv, documentari e qualsivoglia girato concernente le tematiche glbtiqa*, e della pagina scuola diversa attraverso i suoi racconti di scuola che parlano anche di student* disabil* e di integrazione scolastica.

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