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Quando l’invisibilità e la patologizzazione si incontrano

di Lea Vittoria Uva

Una delle domande più frequenti che le persone fanno quando leggono qualcosa sull’asessualità è: “E quindi? Perché dovrebbero fare un articolo su questa cosa? Che problemi devono affrontare le persone asessuali? Qualche tipo di discriminazione? E perché si dovrebbero raggruppare in una comunità?” Di solito non viene chiesto onestamente, ma in modo retorico con l’implicazione che secondo loro le persone asessuali non hanno nessuna difficoltà, e/o che si sta solo tentando di attirare l’attenzione.

È vero che le persone asessuali non hanno dovuto affrontare lo stesso tipo di discriminazione che hanno subito le persone LGBTIQ: non abbiamo una storia di oppressione e violenza da un punto di vista legale o sociale. Qualcuno si chiede se questo sia solo perché siamo sempre passat* inosservat*, ma io credo che non attiriamo lo stesso tipo di reazioni perché gli stereotipi sul nostro comportamento non sono percepiti come “sbagliati” o “peccaminosi” come i comportamenti gay, o minacciosi (verso le norme sociali di genere) come essere transgender.

Quindi quali sono le difficoltà delle persone asessuali? Io credo che l’asessualità abbia diverse cose in comune con più gruppi all’interno della comunità LGBTIQ, ma non abbastanza con ognuno di loro singolarmente perché una similitudine sia percepita istantaneamente.

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Per esempio, fare coming out come asessuale porta a reazioni di ogni tipo, ma la più comune è la patologizzazione. “Quindi sei impotente/frigida?”, “Non è naturale, ci dev’essere qualcosa che non va”, “Questo dev’essere causato da uno squilibrio ormonale, sono sicur* che può essere curato” ecc ecc. Anche i medici spesso cercano di “risolvere il problema”, soprattutto se non conoscono l’asessualità come orientamento sessuale. Il fatto che i pensieri di molte persone vadano subito in direzione di “una cura” è un segnale chiaro dell’idea sottostante che l’asessualità sia una malattia, e questo è qualcosa con cui le persone gay, lesbiche e trans* possono immedesimarsi. Ma considerando l’assenza di violenza tra le reazioni generali all’asessualità, questo spesso passa in secondo piano e non è più qualcosa di abbastanza importante per la maggioranza delle persone LGT per sentire una somiglianza con le persone A. È importante ricordare, comunque, che anche se l’asessualità di per sé in generale non provoca reazioni violente, molte persone asessuali sono vittime di bullismo omofobico, perché il loro non-interesse nel sesso opposto è frainteso come un “sintomo” di omosessualità.

I pregiudizi sono un’altra cosa che le persone asessuali devono affrontare. Come dicevo in un altro testo, l’asessualità è generalmente raggruppata con gruppi iper-morali come gli/le astinenti e i/le celibi/nubili. Questo fa sì che le persone asex siano spesso respinte dalla comunità LGBTIQ, mentre allo stesso tempo sono percepite come “strane abbastanza” da essere alienate dalla maggioranza eterosessuale cisgender. Penso che questo sia qualcosa in comune con la comunità bisessuale. Allo stesso tempo, essendo “l’opposto l’una dell’altra” per quanto riguarda la sessualità, le due comunità non hanno mai legato molto.

Ma io credo che il fattore più importante che affligge la comunità asessuale, molto più della patologizzazione e dei pregiudizi, sia l’invisibilità. L’informazione sull’asessualità ha cominciato ad apparire nei media solo negli ultimi dieci anni circa, e in ogni caso mai in un modo eclatante. La maggior parte della popolazione ancora non sa cosa sia l’asessualità, e ciò significa che molte persone asessuali non sanno che hanno semplicemente un orientamento diverso, e che non dovrebbero sentirsi sole, confuse, malate, o cercare per una cura inesistente.
L’invisibilità è un problema che interessa le persone intersex, trans* e altri gruppi queer molto più di altri nella comunità LGBTIQ, e io penso (e spero) che questo sia davvero il fattore accomunante che ci spingerà a lavorare insieme per combattere l’eterosessismo e per una maggiore educazione e visibilità.

La testimonianza di una persona asessuale

Una mia amica asessuale Canadese, Rory, mi ha fatto capire quanto possono essere seri i rischi e i danni quando la patologizzazione e l’invisibilità si incontrano.
Rory è una ragazza molto gentile e simpatica, amante degli animali (soprattutto dei cavalli), e che si sta per laureare tra poco. Quest’estate ci ritroveremo al WorldPride per far conoscere meglio l’asessualità. L’altra sera stavamo casualmente parlando di medici e ginecolog* in chat su skype, e mi piacerebbe condividere la storia che mi ha raccontato senza modificarla, quindi la lascerò così come l’ha condivisa con me col minor numero di modifiche possibile (principalmente rimuoverò i miei commenti).

[Nota minore: per capire alcune delle esperienze di Rory è importante ricordare che mentre alcune persone asessuali hanno una libido (anche se non diretta verso alcuna persona) e potrebbero masturbarsi per occuparsene, altre persone asessuali non hanno una libido per niente, e potrebbero non aver mai provato eccitamento sessuale, per lo meno non senza ricevere una stimolazione fisica.]

Rory: Ti ho mai parlato della mia esperienza con la pillola contraccettiva?
Lea: Non credo.
Rory: Vuoi che te lo racconti? Non è proprio una storia allegra però…
Lea: Ok, se te la senti.
Rory: Sì, è una parte importante di chi sono oggi e raccontarla ogni tanto mi aiuta. Mi sembra che ogni volta che la racconto a qualcuno, ci faccio pace un po’ di più =)

Prima che sapessi dell’asessualità, avevo un ragazzo. Non mi andava di fare sesso, così dopo quattro mesi mi ha tradito e mi ha lasciata. Siamo stati separati per un anno, e poi siamo tornati insieme. In quell’anno, sono uscita con un altro ragazzo per sei mesi, ma anche con lui non mi interessava il sesso e ho interrotto la relazione per questo. Lui si era innamorato di me e uno dei rimpianti più grandi della mia vita è che non sono mai stata in grado di spiegargli PERCHé sono come sono… Non ho capito la mia identità fino a due anni dopo, e non volevo riaprire vecchie ferite, e quindi ho lasciato stare. Non siamo rimasti in contatto. Comunque, il secondo tentativo con il mio primo partner va bene per un anno, ma io ANCORA non ero interessata al sesso. A quel punto, mi ero fermamente convinta che ci fosse qualcosa che non andava in me, come puoi immaginare. E la relazione ne soffriva…

Quindi sono andata dalla dottoressa, ho spiegato che ero in una relazione stabile e duratura, ed ero molto felice e innamorata. Ma non riuscivo ad eccitarmi, e non avevo alcun desiderio per il sesso, e questo era l’unico problema nella relazione. Quindi la dottoressa ha deciso che poteva essere un caso di bassa libido, o desiderio sessuale ipoattivo, una cosa simile. Non la biasimo; non sapeva nulla dell’asessualità, come non ne sapevo io.

In ogni caso, mi ha prescritto la pillola anticoncezionale per varie ragioni; ha pensato che avrebbe ridotto un’eventuale ansia per gravidanze accidentali, e che gli ormoni avrebbero “sistemato” il resto.

Bè, per farla breve… è andata malissimo. Innanzitutto, mi ha dato una libido, quindi in un certo senso ha funzionato. Ma non sentivo comunque attrazione sessuale, perciò il mio ragazzo era incredibilmente eccitato (immagino che stessi rilasciando ogni feromone possibile) e io sentivo questa “pulsione” ma ero in panico perché non sapevo cosa fosse o cosa farne. Era strano per me, come se non fosse più il mio corpo. E il più delle volte andava a finire che respingevo il mio fidanzato e scoppiavo a piangere se mi toccava anche solo sulla spalla con la punta di un dito..

Non avevo mai imparato a masturbarmi, e ancora non ho provato, quindi non avevo alcun sollievo. All’epoca neanche capivo che era quello ciò che stava succedendo, onestamente. Ero MOLTO confusa, al punto che non sapevo neanche che cosa chiedere.

Tutto questo ha cominciato ad accumularsi insieme a pensieri negativi, del tipo “Be’, se la dottoressa ha detto che questa è la migliore soluzione per guarirmi, e non c’è un’altra alternativa.. quindi se non sta funzionando significa che allora io NON POSSO guarire”.

In più avevo pensieri del tipo “Se non voglio fare sesso, allora forse non amo DAVVERO il mio ragazzo? Ma questo è il massimo che ho mai provato per qualcuno in vita mia, non posso immaginare affezionarmi di più a qualcuno! Allora.. forse non sono CAPACE di amare”.

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“Immagino che non avrò mai una relazione, ferirò solo le persone con cui sto, dovrò morire da sola, non sono interamente umana”… Non credo più a NULLA di tutto ciò, ma a volte questi pensieri sembrano ancora freschi… Comunque, le cose non andavano bene. È andata a finire che ho provato a suicidarmi. Per fortuna il mio ragazzo era lì per fermarmi. Ha gettato via le pillole nel gabinetto, perché sapeva che ero così testarda e così fissata sul “guarirmi” che avrei continuato a prenderle anche se era ovvio che non funzionavano e che mi facevano del male.

Era ed è tuttora una persona molto premurosa, e non considero nulla di tutto questo una sua colpa. Se non altro, lui è il motivo per cui sono ancora viva. Ho smesso di andare dalla dottoressa per qualche mese, e mi sono concentrata sul recuperare le mie risorse emotive.

Be’, la parte peggiore è che quando alla fine ho avuto il coraggio di tornare dalla dottoressa, lei mi ha suggerito di riprovare. E allora l’ho fatto, ho ricominciato a prendere la pillola. Neanche una marca diversa, proprio le stesse. E, sorpresa, due mesi dopo ho ritentato il suicidio…

La seconda volta, il mio ragazzo non c’era, ma ero stata avvisata di questa possibilità, quindi quando ho cominciato a sentire che stava per succedere, mi sono chiusa nella mia stanza e ho rimosso qualunque cosa che avrei potuto usare per farmi del male. Sono rimasta lì con solo una bottiglia d’acqua per tre giorni. Quando mi fidavo abbastanza di me stessa da poter uscire, ero debole e avevo perso molto peso. Ma ce l’avevo fatta, ho smesso di prendere la pillola e ho deciso che quella dottoressa era un’idiota. Per cui quella è stata l’ultima volta che sono stata da un medico…

Uno o due mesi dopo, mia sorella mi chiama all’improvviso… “Hey Rory! Indovina?!? Nella lezione di psicologia di oggi parlavamo di sessualità umana, e c’è un gruppo che, statisticamente parlando, tende ad affezionarsi molto ai cuccioli e agli animali, credo che tu sia una di loro!”. Mi conosce troppo bene; sapeva che il sesso era un argomento delicato per me all’epoca, per cui non ha usato la parola “asessuale” subito, non prima di stabilire che le persone asex sono meravigliose =P

Morale della favola, ho cercato “asessualità” su Google, e ho trovato AVEN. Il modo migliore per spiegare cosa AVEN ha significato per me è che non ho mai incontrato persone che mi descrivessero COSì BENE, e non ci stavano neanche provando; stavano descrivendo SE STESSE. Da allora mi sono sentita a casa.

Per me è importante parlare di questo per diversi motivi: innanzitutto, è il motivo per cui sono così appassionata di visibilità ed educazione. Se riuscissi a salvare anche solo una persona dall’affrontare ciò che ho affrontato io, allora ne sarà valsa la pena, non importa quanto faccia paura. Mi emoziona moltissimo il lavoro di visibilità ed educazione, perché mi fa felice il pensiero che sto prevenendo cose simili. È così facile da prevenire, ma c’è da pedalare. E il secondo motivo per cui ne parlo… è perché ogni tanto può capitare che si “riattivi” il trauma se qualcuno parlando implica che ci sia qualcosa che non va in me, o che io valga di meno solo perché sono asessuale. Penso sia utile che tu lo sappia, perché se per caso succede una cosa simile al WorldPride, io mi ammutolisco. Non è successo in più di un anno, ma è ancora possibile. E se succedesse, la cosa migliore che tu possa fare è semplicemente esserci. Se sono in difficoltà, il contatto fisico non mi aiuterà perché mi farà soltanto ripensare al contatto sessuale (però in QUALUNQUE altra occasione, gli abbracci sono FANTASTICI e non me ne stancherò mai!), ma aiuterà anche solo avere una persona accanto che mi tiene coi piedi per terra e che mi ricorda che non sono sola.

Scusa per il papiro immenso, ma spero che si capisca la mia storia. Finalmente posso dire che riesco e che voglio parlarne.

Il Dr. Anthony Bogaert scrive, in Understanding Asexuality (2012):

“Il disturbo che più comunemente può essere diagnosticato alle persone asessuali è il desiderio sessuale ipoattivo, che è caratterizzato da una marcata assenza di desiderio per il sesso, accompagnato, come dicevo, da disagio o difficoltà interpersonali. Attualmente, ci sono pochi dati sulla salute mentale delle persone asessuali, per cui bisognerà aspettare future ricerche per trarre conclusioni definitive sul problema del disagio o altri disturbi psicologici in questo gruppo. Comunque, la ricerca fino ad oggi non suggerisce che le persone asessuali, in genere, provino disagio per via della loro mancanza di interesse per il sesso. […] Un altro fattore importante da considerare è la fonte del disagio. Dovremmo patologizzare qualcuno perché si sente a disagio se non riesce a conformarsi al gruppo più grande, o perché piace a poche persone di quel gruppo? O, in alternativa, dovremmo patologizzare la società stessa perché non tollera le minoranze e la diversità?”.

Qui la traduzione integrale in spagnolo

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