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L’Iran e i gay: il regime diventa sempre più paradossale

Riportiamo l’articolo di Pier Cesare Notaro pubblicato sul blog Il Grande Colibrì

La premessa: in Iran Mitchell and Cameron non adottano una bambina e non si sposano. Il fatto: un canale televisivo persiano ha preso l’ormai celeberrimo telefilm “Modern Family” dell’americana ABC, lo ha rigirato pedissequamente scena dopo scena, senza alcuna autorizzazione e cambiando soltanto qualche elemento per renderlo più in linea con i dettami della teocrazia di Teheran, e lo ha mandato in onda con il titolo di “Haft Sang” (Sette pietre). Nel remake la famosa coppia omosessuale interpretata da Jesse Tyler Ferguson e Eric Stonestreet è stata semplicemente sostituita da due personaggi eterosessuali (video sotto). Insomma, i telespettatori iraniani si stanno godendo una storia inventata dal “Grande Satana” americano e riadattata da sceneggiatori per i quali, evidentemente, una storia d’amore tra un uomo e una donna è del tutto equivalente ad una gay… Bel paradosso!

E proprio con la parola “paradosso” il mediattivista iraniano Arsham Parsi descrive l’atteggiamento del regime nei confronti dell’omosessualità, che sarebbe cambiato ben poco con l’avvento al potere di Hassan Rouhani: “Da una parte non vogliono avere gay nell’esercito (Oh, chissà cosa farebbero di brutto! Farebbero sesso in giro, sarebbe un bordello!) e dall’altra l’omosessualità può essere punita con la morte e i medici devono certificare che la persona condannata sia omosessuale” (washingtonblade.com). I gay e le lesbiche iraniani, insomma, vivono il costante rischio di essere discriminati e persino uccisi, in esecuzioni che da un lato dovrebbero essere esemplari e dall’altro non sono collegate ufficialmente al loro orientamento sessuale per evitare il biasimo interno ed internazionale: paradossale, appunto.

Paradossale è anche la storia di Sarah: uno psichiatra ha deciso, dopo una prima e unica seduta durata 40 minuti, che lei era un transessuale e che avrebbe dovuto subire un’operazione di rettificazione del sesso. Le conclusioni dello specialista si basavano su una prova inconfutabile: una foto della ragazza in cui, a cinque anni, indossava abiti da maschietto. Sarah, in realtà, è una lesbica, ma per il sistema sanitario iraniano l’omosessualità è un problema che si risolve secondo alcuni con cure farmacologiche e con l’elettroshock o, secondo altri, semplicemente rettificando il sesso tramite somministrazione di ormoni e intervento chirurgico, come ricorda “Patologizzare le identità, paralizzare i corpi” (justice4iran.org), un recentissimo rapporto di Justice4Iran e della Rete lesbica e transgender iraniana 6Rang.

Il rapporto denuncia anche come gli interventi di rettificazione del sesso siano effettuati non solo da strutture ospedaliere d’eccellenza, ma spesso anche da medici improvvisati: anche chi si sottopone all’operazione chirurgica di propria volontà rischia di dover affrontare serie complicazioni sanitarie.

Pochi giorni prima era uscito un altro rapporto, questa volta sul sito del Centro studi del parlamento iraniano (majlis.ir), che raccontava un paese ben diverso da quello favoleggiato dalla teocrazia: il 74% degli studenti della scuola superiore ha avuto rapporti prematrimoniali, il 17,5% si definisce omosessuale, le prostitute sono sempre più giovani (gaystarnews.com). La soluzione proposta suona lontana dalla realtà sociale fotografata: incentivare il ricorso al matrimonio temporaneo (una forma di nozze diffusa tra i musulmani sciiti che ha una durata limitata nel tempo fissata sin dall’inizio), come se questo potesse mutare i bisogni affettivi e sessuali di gay e lesbiche e come se lo stesso rapporto non spiegasse che un decimo delle lavoratrici del sesso ha come “protettore” il marito.

Insomma, il regime porta avanti più o meno apertamente visioni diverse dell’omosessualità, senza preoccuparsi troppo del fatto che siano in netta contraddizione l’una con l’altra: l’omosessualità è considerata al tempo stesso un problema sociale che richiede l’emarginazione dei gay, come un vizio intollerabile che richiede la loro uccisione, come una malattia che richiede la loro cura. E premesse così scorrette e paradossali non possono che dar vita a “soluzioni” altrettanto paradossali e crudeli.

Un altro paradosso? Molti iraniani hanno celebrato il Pride, scendendo per strada con le bandiere arcobaleno… ma tutto questo è successo in Turchia: alla marcia per i diritti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) di Istanbul, il secondo Pride del Medio Oriente dopo quello di Tel Aviv, tra i tanti partecipanti (ilgrandecolibri.com) hanno sfilato pure i rifugiati omosessuali e transessuali provenienti dal confinante Iran, che hanno anche organizzato la presentazione del già citato rapporto di Justice4Iran e 6Rang (hurriyetdailynews.com).

Il Pride di Istanbul ha anche organizzato per la prima volta un concorso di bellezza per le donne transessuali (dailymail.co.uk), un modo efficace per richiamare l’attenzione su queste persone troppo spesso vittime di violenza: tra il novembre 2012 e l’ottobre 2013, infatti, in Turchia sono state uccise cinque trans, con un tasso tra i più alti d’Europa (superato solo da Serbia, Ungheria e Italia).

A testimoniare il clima ostile nei confronti delle minoranze sessuali in Turchia contribuisce anche il licenziamento di un poliziotto di Istanbul motivato dalla sua omosessualità: se la magistratura ha riconosciuto una violazione della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il ministero dell’Interno ha ribadito che “esercitare la funzione pubblica attraverso funzionari che hanno perso la necessaria reputazione farebbe vacillare la fiducia degli individui nell’amministrazione e provocherebbe sviluppi indesiderabili nella relazione tra il popolo e l’amministrazione” (hurriyetdailynews.com).

A incrinare questa relazione, però, non sono i poliziotti omosessuali, ma lo stesso governo con le sue derive autoritarie. E il Pride di Istanbul ormai è diventato uno degli eventi politici più importanti del paese per contrastare il potere illiberale in patria e all’estero e per sognare una nuova Turchia in un nuovo Medio Oriente.

 

Pier

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