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Semenya, i sessi infiniti

di Beatrice Busi 

pubblicato su l’Altro il 13 Settembre 2009

Le assurdità scritte dai quotidiani italiani e il dibattito scientifico.
Nel mondo le persone intersex si battono per i propri diritti.
Che sono anche i nostri

Venerdì due quotidiani, l’australiano Sydney Moming Herald e il britannico The Sun, hanno diffuso alcune anticipazioni sull’esito degli esami ai quali è stata sottoposta la diciottenne sudafricana Caster Semenya, subito dopo aver vinto la medaglia d’oro per gli 800 femminili ai mondiali di atletica di Berlino. Il “verdetto” ufficiale della Iaaf – perché ormai si tratta di un vero e proprio processo con tanto di tribunale mediatico – è atteso per fine novembre, ma per i due giornali, Semenya è un “ermafrodito”. E questo potrebbe bastare a chiudere definitivamente la sua carriera sportiva.

Pare non importare a nessuno che non esistano prove scientifiche su un presunto “vantaggio fisico” della condizione intersessuale.

E, tantomeno, a nessuno viene in mente che il problema sia la rigidità della classificazione binaria in maschi e femmine, non le caratteristiche di Semenya.

Il noto bookmaker irlandese Paddy Power ha deciso di pagare tutte le scommesse fatte in agosto. Verranno date come vincenti non solo le scommesse sull’ermafroditismo, ma anche quelle sul sesso maschile e quelle sul sesso femminile, mentre non verranno pagate le scommesse sulla sua transessualità e quelle che hanno scelto la voce “altro”.

Ieri, il campionato mondiale dell’azzeccasesso è sbarcato anche sui media italiani: c’è chi, come Repubblica, propende per un “terzo sesso”, categoria che all’inizio del Novecento, veniva indifferentemente usato per indicare gay, lesbiche e femministe, e c’è chi preferisce titolare su “l’atleta senza sesso”, quasi fosse un angelo, o un demonio come La Stampa. 

Molti si limitano a sostenere che non si tratta di una “donna al 100%”, altri si avventurano in scommesse più o meno scientifiche: ha la sindrome di Morris, anzi no, forse ha l’Ais, quella dell’insensibilità agli androgeni. E c’è chi parla di “cromosomi mescolati alla rinfusa”, come ha fatto volgarmente una giornalista de La Stampa.

Purtroppo, c’è poco da stupirsi della violenza dei media o delle organizzazioni sportive. Da più di un secolo la stessa medicina è impegnata in spericolati esercizi di algebra elementare dei caratteri sessuali per esorcizzare la paura atavica di una confusione o di una mescolanza fra i sessi.

Semenya è solo l’ennesima incognita. Eppure il valore delle variabili, stabilito in base ad “idee prescientifiche” sul maschile e il femminile, ha ben poco a che vedere con la logica interna della “natura”.

Ormai due secoli fa, il fondatore della teratologia scientifica Geoffroy Saint-Hilaire, considerava improprio parlare di bizzarie, di disordine o di irregolarità. Se vi sono delle anomalie, esse sono tali rispetto alle leggi dei naturalisti, diceva, non alle leggi della natura, perché in natura tutte le specie sono ciò che devono essere.

La scienza dovrebbe spiegare, non giudicare. Invece, sono quasi cinquant’anni che il protocollo medico-pediatrico nei casi di intersessualità prescrive l’assegnazione del genere entro il secondo anno di età e un conseguente trattamento chirurgico e farmacologico di “adeguamento” al sesso assegnato. Interventi che molti attivisti intersessuali, tra i quali Emy Koyama dell’Intersex Initiative, preferiscono descrivere come il corrispettivo occidentale e high-tech delle mutilazioni genitali femminili.

Per le persone intersessuali la “chimera” è il consenso informato. Nel 1993, sulla rivista americana The Sciences, la biologa Anne Fausto-Sterling aveva cercato di sgombrare il campo dai pregiudizi di genere che influenzano la ricerca scientifica, con un articolo provocatoriamente intitolato “I cinque sessi: perché maschile e femminile non sono sufficienti”. Ermafroditismo, pseudo-ermafroditismo maschile e pseudo-ermafroditismo femminile, infatti, potrebbero essere considerati veri e propri sessi, tanto quanto gli standard del maschile e del femminile.

Ma biologicamente, dice Fausto-Sterling, il sesso, in realtà, è un continuum di infinite varietà che sfidano radicalmente persino la classificazione in cinque categorie. Siamo tutti intersessuali. Ad Anne Fausto-Sterling rispose Cheryl Chase, con una celebre lettera che annunciava la fondazione dell’Intersexual Society of North America, la più grande organizzazione per i diritti delle persone intersessuali e che ha segnato l’inizio del coming-out.

E’ da allora che il protocollo medico per l’intersessualità – “inventato” e promosso dallo psicologo americano John Money su basi estremamente discutibili -, viene messo sotto accusa. Fuori e dentro la comunità scientifica, dove sono sempre più numerosi coloro che invocano una moratoria internazionale del trattamento chirurgico dell’intersessualità in età infantile. Gli studi scientifici di lungo periodo sugli effetti di questo protocollo sono ancora troppo pochi, intanto la chirurgia continua a violare l’integrità dei corpi.

Le storie di vita raccolte dalle organizzazioni per i diritti civili e dai gruppi di supporto, però, dicono che sono molte le persone intersessuali che scelgono un percorso di transizione, rifiutando il sesso e il genere che gli sono stati imposti alla nascita. Ma anche che spesso il risultato dell’assegnazione coatta del genere è la depressione cronica e troppo spesso il suicidio.

Caster, che era riuscita a sfuggire al bisturi del chirurgo e alle siringhe degli endocrinologi, ora è costretta dalla Iaaf e dai media ad affrontare le tagliole che proteggono i confini sociali della differenza sessuale.

Per questo, la sua storia è una ferita aperta per tutte e tutti coloro che credono nel diritto dei singoli e delle singole all’autodeterminazione. A decidere da sé e per sé, della propria vita, della propria morte, del proprio desiderio, del proprio corpo.

Beatrice Busi è assegnista presso l’Università di Verona e fa parte del Centro di ricerca Politesse – Politiche e Teorie della sessualità. Dottoressa di ricerca in Filosofia della scienza, è stata borsista della Fondazione Ruberti con un progetto di ricerca sulla funzione di modelli e metafore nel pensiero biologico contemporaneo, occupandosi in particolare delle teorie su determinazione e differenziazione sessuale. Nell’ambito dei suoi studi sugli stereotipi di genere nella ricerca scientifica, si è occupata inoltre della storia dei protocolli medici nei casi di intersessualità e delle loro implicazioni etiche.

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