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Intersessualità: il genere “divino” contro il genere diviso

di Candida Moss

Traduzione di Pier (con nostre lievi modifiche, visibili dal corsivo non virgolettato) 

L’articolo è apparso in lingua inglese su thedailybeast.com

E’ di questa settimana la notizia che il Vaticano starebbe invitando rappresentanti delle religioni di tutto il mondo ad una conferenza a fine novembre sulla “complementarietà tra l’uomo e la donna”. Arriveranno da ventitré paesi i partecipanti alla conferenza, tra i quali ci saranno relatori ebrei, induisti, musulmani e anche protestanti conservatori, come il pastore Rick Warren, fondatore di una megachurch (washingtonpost.com; anche bijew-bijou.blogspot.it). Dopo la recente tempesta mediatica sull'”ammorbidimento” della posizione della Chiesa cattolica sui matrimoni tra persone dello stesso sesso e sul divorzio, l’annuncio di una conferenza sui ruoli “complementari” (leggi: differenti e non necessariamente uguali) degli uomini e delle donne è passato quasi completamente inosservato. Semplicemente non si adatta all’immagine che il pubblico ha di Papa Francesco.

Le femministe dovrebbero preoccuparsi perché vengono invocati i ruoli tradizionali, ma in questa discussione c’è un problema ancora più grave: i gruppi religiosi quando parleranno di intersessualità?

L’ignoranza circa l’esistenza di persone con condizioni di intersessualità non è sicuramente limitata ai religiosi. Nota anche come ermafroditismo o variazioni della differenziazione sessuale (differences of sex development; DSD), intersessualità è un termine generico usato per descrivere tutta una serie di condizioni in cui l’anatomia sessuale di una persona non rientra nelle definizioni convenzionali di “maschio” e “femmina”. A volte l’intersessualità è già evidente dalla nascita, ma altre volte si manifesta più tardi nella vita, soprattutto durante la pubertà.

Non avete mai dedicato grandi riflessioni all’intersessualità? Non siete solamente voi a non averlo fatto. Anche se circa una persona ogni 20mila (isna.org) nasce intersessuale (più o meno la stessa quantità di persone che nascono con la fibrosi cistica o con la sindrome di Down), se ne parla raramente, anche perché i medici hanno adottato un modus operandi incentrato sull’occultamento e che punta a normalizzare i corpi attraverso interventi chirurgici e farmaceutici e spesso addirittura a nascondere l’intersessualità del paziente.

Inoltre è sorprendente quanto anche tra i medici manchi il consenso su una definizione precisa dell’intersessualità. E’ sufficiente la presenza di organi genitali atipici e “ambigui”? Si tratta di una questione di ormoni o di DNA? Perché una persona sia considerata intersessuale, è necessaria la compresenza di tessuti ovarici e testicolari? I medici hanno dibattuto vivacemente su domande di questo tipo per più di 150 anni, in parte anche perché l’intersessualità è, come afferma la Società intersessuale del Nordamerica (isna.org), “una categoria costruita socialmente“. Abbiamo diviso il mondo in maschi e femmine e qualsiasi varietà biologica che non rientrava a sufficienza in questo schema è stata etichettata come “intersessualità”.

La verità è che, da un punto di vista biologico, ci sono tantissime forme di diversità: l’intersessualità non è una terza categoria, ma un insieme di configurazioni biologiche che rivelano quanto fluido sia davvero il sesso.

Alice Domurat Dreger, autrice di “Gli ermafroditi e l’invenzione medica del sesso” (Hermaphrodites and the Medical Invention of Sex; ibs.it), ha detto a thedailybeast.com che il binarismo maschio/femmina è accurato solo “se si considerano alcuni metodi di misurazione: le toilette, la maggior parte dei moduli di registrazione dei pazienti, le cerimonie dei matrimoni tra repubblicani. Ma in termini di natura quasi tutti i tratti biologici si mischiano lungo uno spettro che unisce le due estremità attorno alle quali la maggioranza di noi è raggruppata. Quindi, anche sembriamo ammassati su queste due estremità, i nostri sessi possono variare in moltissimi modi“.

Mentre gli attivisti intersex hanno fatto un eccellente lavoro di rieducazione della professione medica circa i pericoli di una indiscriminata assegnazione del genere che non tenga conto della volontà della persona, il nostro impegno culturale nei confronti del binarismo maschio/femmina è collegato alle regole maggioritarie, alla tradizione, alla cultura e al potere. E una parte rilevante di questa tradizione riguarda il cristianesimo. Secondo la Genesi, quando Dio creò l’umanità, creò “l’essere umano a sua immagine” e “maschio e femmina li creò“. L’idea che gli esseri umani siano stati creati a immagine di Dio e divisi in due elementi complementari all’interno di una coppia ha lasciato una traccia profonda nel nostro modo di analizzare il mondo.

L’idea che i corpi intersex siano “aberranti” o che siano il risultato di “difetti alla nascita” è perpetuata da una mancanza di familiarità con l’intersessualità. Oggi anche i cristiani intersessuali che scelgono la castità e che si impegnano a seguire i modelli familiari tradizionali affrontano lo stigma e il giudizio sociale dei loro pari.

Ma non è sempre stato così. La variabilità biologica era celebrata nel pantheon degli dei. Il dio Ermafrodito era rappresentato nell’arte greco-romana come una figura femminile dotata contemporaneamente di seni e organi genitali maschili e nel mondo antico molti avevano familiarità con il mito dell’androgino: un’entità primordiale bi-personale con due organi genitali (a volte entrambi maschili, a volte entrambi femminili, a volte uno maschile e uno femminile) che finì divisa in due. L’idea è immortalata nel discorso di Aristofane nel “Simposio” di Platone ed è riemersa nella cultura popolare nella canzone “The origins of love” (Le origini dell’amore) nel film “Hedwig – La diva con qualcosa in più”.

Anche le radici bibliche del genere sono più ambigue di quanto pensi la gente. Le stesse storie della creazione sono suscettibili di interpretazione. Gli interpreti più antichi delle storie della creazione nella Genesi hanno notato come Dio abbia creato gli esseri umani due volte: la prima quando ha creato l’umanità a sua immagine e somiglianza e la seconda quando ha plasmato Adamo e ha usato una sua costola per plasmare Eva. Affrontando questa stranezza, Genesi Rabba, la raccolta classica dell’antica esegesi ebraica sul primo libro della Bibbia, suggerisce che Dio prima abbia creato un androgino a sua immagine e solo più tardi lo abbia diviso in maschio e femmina. Secondo questa interpretazione, soltanto le persone intersex sarebbero state create a immagine di Dio.

Anche la famosa affermazione di Paolo nella lettera ai Galati secondo cui “non c’è più uomo né donna […] in Cristo Gesù” può essere facilmente letta come una dichiarazione di sostegno divino nei confronti di coloro che sono sia maschio che femmina o che non sono né maschio né femmina. Le definizioni di sesso e genere, infatti, furono contestate nella Chiesa delle origini.

Come mi ha detto Benjamin Dunning, professore di teologia, di letteratura comparata e di women’s studies all’università Fordham di New York, “le polemiche religiose contro i fedeli lesbiche, gay, bisessuali e transgender tendono a far proprio un concetto di divisione sessuale univoco, fisso e immutabile (maschile e femminile) e poi ricorrono all’autorità della tradizione come sostegno. Ma un attento lavoro storiografico sulle fonti cristiane antiche dimostra come in realtà stiamo abbandonando la tradizione quando sosteniamo in quanto cristiani che sesso e genere siano auto-evidenti“.

Nonostante tutte le antiche figure religiose che non rientravano nel binarismo di genere, nel periodo pre-moderno gli ermafroditi erano spesso considerati come dei mostri, ma la loro era una condizione con cui convivere. Solo con lo sviluppo della tecnologia medica i chirurghi riuscirono a eliminare l’ansia sociale sul genere tagliando via, in senso letterale, l’ambiguità dal corpo umano. Praticate per la prima volta nel 1779, le operazioni di assegnazione del sesso divennero sempre più popolari dall’Ottocento in avanti. A partire dagli anni Cinquanta del Novecento la rapida assegnazione del genere al neonato con un sesso atipico è diventata routine.

Mentre alcune forme di variazione della differenziazione sessuale richiedono un’attenzione medica accurata, la maggior parte dei casi non richiede un intervento chirurgico violento, però le pressioni sociali per mettere sotto controllo le norme del genere hanno alimentato la pratica diffusa di assegnare chirurgicamente un genere alla nascita. E questo, a sua volta, ha rafforzato la visione religiosa di un binarismo imposto da Dio.

Stranamente, e nonostante migliaia di anni di teorie su sesso e genere, nel dibattito religioso moderno ci si occupa molto raramente di intersessualità. E quando ce ne si occupa, la maggior parte delle volte lo si fa in chiave strumentale per rimproverare le persone transessuali e per promuovere la castità.

Una delle ragioni di questa situazione è l’alta posta in gioco. Se si riconoscesse che il mondo non è nettamente diviso in uomini e donne, allora alcune questioni politiche fortemente sensibili come il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’identità transessuale diventerebbero punti aperti al dibattito.

Su quali basi possiamo fare obiezioni contro la riassegnazione del genere voluta dal paziente quando l’assegnazione del genere non voluta dal paziente è praticata come routine? Se ci si rendesse conto che i tratti biologici usati per determinare il sesso ricadono all’interno di uno spettro, allora la patologizzazione dell’intersessualità non sarebbe più praticabile. Ed sarebbe difficile opporsi ai matrimoni omosessuali quando sono già state celebrate così tante unioni che sfidano il binarismo.

Il potere dei corpi intersex risiede nella loro capacità di perturbare le norme sociali. Nel fare pressioni per arginare la marea degli interventi chirurgici sui bambini, gli attivisti intersex hanno rassicurato l’establishment medico sul fatto di non essere interessati a rompere lo status quo. La verità è che l’intersessualità potrebbe essere l’asso nella manica nella battaglia culturale su sesso e genere.

Candida Moss è professoressa di Nuovo Testamento e Cristianesimo delle origini all’Università di Notre Dame (Indiana, USA)

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